Porre in una terrina la farina di granoturco bianca, la farina di grano tenero, lo zucchero, il lievito ed un pizzico di sale.
Impastare aggiungendo il burro reso morbido, un uovo, la buccia di un limone, il bicchiere di grappa usato per ammollare l’uvetta ed il latte, fino ad ottenere un impasto molto morbido (il latte serve per favorire la cottura della farina di granoturco).
A questo punto, dopo l’infarinatura, sarà opportuno aggiungere l’uvetta precedentemente lavata e messa a mollo in un bicchiere di grappa, ed i fichi secchi, tagliati a pezzetti.
Porre l’impasto in una teglia rettangolare con la carta da forno ai margini, spolverare la superficie con zucchero ed infornare per un’ora circa a 180-200 gradi.
Controllare la fase di cottura, infilando uno stecchino nella pasta.
In una casseruola preparare un soffritto di cipolla, al quale si aggiungerà la “lugànega fina”, ben rosolata, dopo averla tolta dal budello.
Dopo aver scelto la “rénga” (da vòvi o da lat) in base alla preferenza, si immergerà in acqua per almeno 15 ore, cambiandola per 3 o 4 volte. Togliere poi la pelle e sfilettarla, facendo attenzione a non rompere il sacco delle uova o del latte.
In acqua debolmente salata, aromatizzata con un po’ di carota, sedano e qualche foglia di alloro, sbollentare le “tripe” ben mondate e pulite per circa mezz’ora. A questo punto verranno tolte dal fuoco e lasciate raffreddare, per poi tagliarle in listarelle della misura voluta.
Mettere a mollo i fagioli (possibilmente della varietà Lamon) per un’intera notte, in abbondante acqua fredda aggiungendo, a piacere, un pizzico di bicarbonato.
Per prima cosa è necessario lessare le patate necessarie, aggiungendovi anche un pizzico di sale.
I due componenti hanno una preparazione separata.
È questo uno dei piatti più poveri della tradizione popolare di Caneva e del suo territorio.
Un tempo, alla paiolàna era riservato un occhio di particolare riguardo e premura. Meticolosa attenzione era riservata al brodo che aveva la funzione di “ricostituente”.
Aprire delicatamente il bacalà, diliscare con cura e cospargerlo di farina.
Vuotare la faraona delle interiora e passarla alla fiamma, quindi prepararla distribuendo, sia dentro che fuori, sale, pepe, alcune foglie di salvia, qualche rametto di rosmarino e delle fettine di pancetta “de casàda”, legando assieme il tutto.
Per preparare questa ricetta secondo la vecchia tradizione, servirebbero i "radìci có la mathochéta" che, un tempo, venivano seminati nei campi, dopo la raccolta del granoturco. In mancanza di questi, è possibile usare la “rosa di Castelfranco” o radicchi di qualità affine.
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