PinthaPorre in una terrina la farina di granoturco bianca, la farina di grano tenero, lo zucchero, il lievito ed un pizzico di sale.

Impastare aggiungendo il burro reso morbido, un uovo, la buccia di un limone, il bicchiere di grappa usato per ammollare l’uvetta ed il latte, fino ad ottenere un impasto molto morbido (il latte serve per favorire la cottura della farina di granoturco).

A questo punto, dopo l’infarinatura, sarà opportuno aggiungere l’uvetta precedentemente lavata e messa a mollo in un bicchiere di grappa, ed i fichi secchi, tagliati a pezzetti.

Porre l’impasto in una teglia rettangolare con la carta da forno ai margini, spolverare la superficie con zucchero ed infornare per un’ora circa a 180-200 gradi.

Controllare la fase di cottura, infilando uno stecchino nella pasta.

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RisotoIn una casseruola preparare un soffritto di cipolla, al quale si aggiungerà la “lugànega fina”, ben rosolata, dopo averla tolta dal budello.

A questo punto bisogna mettere il riso (Carnaroli), bagnando il tutto con del buon vino rosso, possibilmente Cabernet.

Lasciare evaporare fino alla cottura del riso (18-20 minuti), aggiungendo poi del brodo caldo fatto con carne bovina (tasto e/o muscolo).

A cottura ultimata, fare la mantecatura con burro e parmigiano (una volta con montasio stagionato). All’ultimo momento, prima di servire in tavola, aggiungere anche un pizzico di prezzemolo.

Ovviamente il “segreto” di questo piatto, un tempo appannaggio solo dei maggiorenti del paese, è la composizione della luganega fina, oggi quasi del tutto introvabile.

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RengaDopo aver scelto la “rénga” (da vòvi o da lat) in base alla preferenza, si immergerà in acqua per almeno 15 ore, cambiandola per 3 o 4 volte. Togliere poi la pelle e sfilettarla, facendo attenzione a non rompere il sacco delle uova o del latte.

A questo punto bisogna tritare finemente una cipolla, facendola appassire in un tegamino per poi porla sotto l’aringa che verrà coperta con olio di semi (ultimamente di vinacciolo).

È preferibile consumarla dopo averla tenuta per 3 o 4 giorni in un ambiente molto fresco (o in frigo).

Una variante prevede di mettere sopra i filetti un’abbondante manciata di aglio e prezzemolo finemente tritati, coprendo l’aringa sempre con l’olio di vinacciolo.

In ogni caso va servita in tavola molto calda, con alcune fette di polenta abbrustolita.

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TrippaIn acqua debolmente salata, aromatizzata con un po’ di carota, sedano e qualche foglia di alloro, sbollentare le “tripe” ben mondate e pulite per circa mezz’ora. A questo punto verranno tolte dal fuoco e lasciate raffreddare, per poi tagliarle in listarelle della misura voluta.

Soffriggere quindi l’aglio e la cipolla (se piace, anche un po’ di sedano e carota), facendo attenzione di toglierli prima che prendano colore, e versare le tripe con l’aggiunta di qualche foglia di alloro e la buccia di un limone.

Mettere quindi nel tegame un sacchettino di garza contenente cannella in canna, chiodi di garofano, salvia e rosmarino.

Insaporire le tripe con l’aggiunta di dado di carne, pepare ed aggiungere del vino, portandole a cottura a fuoco moderato ed a tegame coperto. Bagnarle, di quando in quando, con acqua calda o brodo. Aggiungere poi un po’ di salsa di pomodoro, giusto per dare un po’ di colore.

Dopo un paio d’ore di cottura, le tripe saranno servite caldissime cosparse di abbondante formaggio grattugiato.

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FasioiMettere a mollo i fagioli (possibilmente della varietà Lamon) per un’intera notte, in abbondante acqua fredda aggiungendo, a piacere, un pizzico di bicarbonato.

Prima di iniziare la cottura, preparare un battuto di lardo e cipolla, mettendolo a soffriggere con un po’ d’olio ed uno spicchio d’aglio che verrà tolto prima che questo inizi ad imbiondirsi.

Versare i fagioli sciacquati, allungando il tutto con un po’ d’acqua.

Aggiungere poi il dado da brodo e gli aromi (alloro, salvia, sedano e prezzemolo tritato), pepando il tutto.

Cuocere a fuoco dolce per circa un'ora e mezza ed, al momento opportuno, aggiungere delle patate tagliate grossolanamente.

A cottura quasi ultimata, estrarre le patate e metà dei fagioli. Schiacciate questi ultimi con una forchetta, rimettendo poi il tutto nella pentola regolando il sale.

Nel servire questa minestra di fagioli, aggiungere una cucchiaiata d’olio di oliva ed un po’ di pepe nero, macinato al momento.

Accompagnate il tutto con dei crostoni di pane tostato.

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La_CastelanaPer prima cosa è necessario lessare le patate necessarie, aggiungendovi anche un pizzico di sale.

Le patate (possibilmente di qualità Primura), non devono essere troppo cotte perché poi bisogna schiacciarle in maniera grossolana. Al termine di questa operazione, aggiungere i due tipi di formaggio di stagionatura diversa, tagliati in piccolissimi dadi ed amalgamati con il Parmigiano Reggiano (un tempo con pezzi di formaggio di latteria molto invecchiato).

All’ultimo momento, prima di essere messa in forno a porzioni singole ed in un apposito contenitore in ceramica, bisognerà ricoprire la castelàna con un filetto di pancetta ed alcuni funghi chiodini.

Dopo una decina di minuti di cottura, alla massima temperatura (~240°), sulla castelàna si formerà una crosticina dorata e sarà quindi pronta per essere servita in tavola alla temperatura più calda possibile.

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MusetI due componenti hanno una preparazione separata.

Dapprima bisogna iniziare con la brovàda, schiacciando uno spicchio d’aglio e facendolo appassire con la cipolla, aggiungendovi poi anche un battuto finissimo di lardo. Versare quindi la brovàda (al giorno d’oggi si trova in commercio già affettata e pronta per l’uso), aggiungere alcune foglie di alloro, del sale e del pepe, e scaldare sul fuoco per alcune ore, fino a cottura ultimata.

A parte, bisogna mettere in una pentola il musét, dopo averlo punzecchiato sul budello ed aver inserito, di traverso alle due estremità, un paio di stuzzicadenti da spiedino.

Sobbollire quindi in acqua salata per 3 o 4 ore (avendo del tempo a disposizione anche fino ad 8 ore), a fuoco lentissimo. Fate attenzione che rimanga sempre immerso completamente nell’acqua. Aggiungetelo, poi, alla brovàda.

Ovviamente il musét dovrà essere di ottima macelleria e massima qualità.

Questo piatto diventerà molto più gustoso se riscaldato e mangiato il giorno dopo.

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La_PanadaÈ questo uno dei piatti più poveri della tradizione popolare di Caneva e del suo territorio.

Il pane, fino a non moltissimi anni fa, veniva mangiato assai di rado, e solo in particolari occasioni. Quando, nonostante tutto, ne rimaneva qualche piccolo pezzo, questo veniva tagliato a pezzettini e messo in una pentola con un po’ d’acqua fredda ed uno spicchio d’aglio, con l’aggiunta di un pizzico di sale e, talvolta, anche un paio di cucchiai d’olio.

Oggi, come allora, bisognerà portare l’acqua ad ebollizione, fino al disfacimento completo del pane. Questa “poltiglia” spappolata e cremosa sarà servita nelle fondine, a piacere con l’aggiunta di un uovo affogato, fatto ad occhio di bue (uno per porzione).

Prima di portare in tavola, cospargere il tutto con del formaggio grattugiato e, se gradito, con del pepe nero macinato al momento.

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BrodoUn tempo, alla paiolàna era riservato un occhio di particolare riguardo e premura. Meticolosa attenzione era riservata al brodo che aveva la funzione di “ricostituente”.

Per realizzare questo importante piatto, è necessario prendere una mezza gallina ed un’ala di tacchina, sempre “da cortìvo”, oltre che delle carni di punta di petto, di muscolo e di tasto, tutte di manzo.
Mettere questi ingredienti in una pentola con l’acqua fredda, fino a levarne il bollo, schiumando di tanto in tanto, ed aggiungendo della cipolla rossa, delle carote, dei porri, del sedano e 3 chiodi di garofano.

Dopo un’ora di bollitura, a fuoco assai lento, togliere prima la gallina e poi il tasto e l’ala di tacchino.
Le carni di muscolo e punta di petto debbono bollire per un’altra ora.

Alla fine filtrare il tutto, per ottenere un brodo molto adatto sia per fare la minestra che il consommé. Come tocco finale, nel brodo aggiungere anche un po’ di vino rosso ed un abbondante manciata di formaggio da grattugia.

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BacalaAprire delicatamente il bacalà, diliscare con cura e cospargerlo di farina.

Preparare un trito con sardine salate, capperi dissalati, prezzemolo, carote, sale e pepe.

Stendere il composto sul bacalà, tagliare quest’ultimo trasversalmente, in strisce larghe circa 3 cm che verranno arrotolate e legate una ad una, con dello spago da cucina.

In un tegame soffriggere aglio e cipolla nell’olio di oliva, ed adagiare i rotolini di bacalà, coprendoli con acqua e latte in parti uguali, salandoli e pepandoli.

Aggiungere anche una buccia di limone, un po’ di cannella in canna, qualche chiodo di garofano e della salsa di pomodoro, giusto per dare colore.

Cuocere a fuoco molto dolce, per circa 2 ore e mezza, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare.

A fine cottura disporre una fettina di formaggio fondente su ogni rotolo di bacalà, in modo che, sciogliendosi, formi una sorta di cappello.

Servire caldo con la polenta, fatta come un tempo.

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FaraonaVuotare la faraona delle interiora e passarla alla fiamma, quindi prepararla distribuendo, sia dentro che fuori, sale, pepe, alcune foglie di salvia, qualche rametto di rosmarino e delle fettine di pancetta “de casàda”, legando assieme il tutto.

Rosolare quindi la faraona in una teglia di terracotta con un po' d’olio di oliva e qualche fettina di lardo, bagnandola, di tanto in tanto, con “sgnàpa de bàr” e verdiso, rigirando più volte la carne perché l’alcol possa evaporare. Passare poi la faraona in forno, lasciandola fino a cottura ultimata.

Nel frattempo, preparare la salsa peveràda, facendo un soffritto di cipolla ben rosolato, aggiungendo dei pezzetti di pancetta e di soprèssa ed alcuni fegatini di pollo.

Rosolare quindi il tutto, bagnandolo con grappa e verdiso, mettendo qualche fettina di scorza di limone, il succo dello stesso ed una spruzzatina di aceto.

Prima di servire in tavola, cospargere di pepe nero.

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RadiciPer preparare questa ricetta secondo la vecchia tradizione, servirebbero i "radìci có la mathochéta" che, un tempo, venivano seminati nei campi, dopo la raccolta del granoturco. In mancanza di questi, è possibile usare la “rosa di Castelfranco” o radicchi di qualità affine.

A parte bisognerà soffriggere il guanciale di maiale (già appositamente conciato con spezie ed erbe varie), dopo averlo tagliato a cubetti o listarelle abbastanza sottili.
Quando quest’ultimo sarà ben rosolato, aggiungere una spruzzata di aceto bianco di vino ed i fagioli (in minestra), precedentemente cotti, preparati e scaldati a parte.

Il tutto, ancora molto caldo, andrà versato sopra i radicchi, già impiattati.

Attenzione: questo piatto della più pura tradizione locale va consumato non appena servito, per evitare che i fasiòi e le frithe si raffreddino e formino in superficie un velo biancastro, poco appetibile.

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